Abhiyanga

Abhiyanga di Gabriella Barattia

Prona sul lettino, l’olio caldo versato nella fontanella della gola scivola lentamente sulle spalle e si diffonde tra le scapole. Nadia prende la mia nuca tra le mani sovrapposte e la solleva delicatamente, la trattiene un attimo e poi la appoggia sulla superficie del lettino. Il mio respiro comincia a rallentare. Le sue dita affusolate iniziano a massaggiarmi lievemente la testa con un lento movimento circolare e premono quando raggiungono l’arcata sopracciliare. Una lenta successione di movimenti che si ripetono dieci, venti volte, sempre più profondi. I pensieri sono usciti dalla mia mente, sono in quello stadio di astrazione mentale che precede il sonno. Non è perdita totale, è un movimento ondivago del cervello.
Le mani scendono a massaggiare le spalle sollevandole alternativamente, poi dopo aver versato ancora olio caldo disegnano degli otto intorno ai seni. Il cuore segue il cervello nel suo volo verso il nulla, totale assenza di emozioni e di pensieri, solo un senso di quiete che si va diffondendo, mentre le mani, con lenti e morbidi movimenti disegnano cerchi intorno all’ombelico tra lo sterno e il pube.
Poi scendono – nuovamente l’olio caldo si riversa su di me – a massaggiare le gambe dall’inguine alla caviglia e risalgono con un moto continuo , lieve e calmo.

La mia coscienza è sempre più lontana, si è staccata dal corpo, a tratti sembra fluttuare al di sopra di esso.
Mi metto supina, il massaggio continua, sento il calore dell’olio e delle mani penetrarmi nei pori della pelle.
È finito, ricoperta di un telo di spugna color salmone, resto sola nella stanzetta, quasi addormentata, la mente ancora lontana, l’animo disteso, il corpo completamente rilassato.
Ecco così sarebbe dovuto essere, il corpo rilassato, privo di forze, la mente in paradiso ogni volta dopo aver fatto l’amore… E invece ripensi al tuo corpo ben presente, al tuo corpo e alla tua mente che in silenzio, ogni volta, o quasi, gridano in silenzio la rabbia e la delusione per quello che non è stato.
Centodieci minuti, solo centodieci minuti in cui rivivi la delusione di quarant’anni .

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