Marcello Comitini. Tornando in città, 2014

Due ritorni

NOTTURNO

 

Nereggia

inerte serpe in mezzo alla pianura

desolata d’uomini e le rare case

e fumi che le molte fabbriche spargono nell’aria.

Inerte si dirama tra le dita

che la città distende grigie per accogliere

chi segue il cieco bisogno di tornare.

Dietro compagni in fila e altri avanti

ognuno sigillato in un involucro di vetro

e di metallo lucido ai riverberi

del sole che tramonta.

Senza pietà ciascuno si tormenta

tra le malinconie cantate dalla radio

alto il volume a cancellare l’eco

di una giornata faticosa

del ronzare persistente del motore.

Ciascuno torna a casa come toccasse terra

con il viso stravolto e il cuore gonfio

di gratitudine o d’altrettanto dolore.

Torno a indossare l’abito lasciato

pendere al gancio dell’ingresso.

 

MATTUTINO

 

Prima che l’alba spenga la luce dei fanali

e si distenda nuda sulle facciate dei palazzi,

prima che le case nel grigio delle strade

disperdano dalle bocche dei portoni i fiati

tiepidi delle madri e dei fanciulli in corsa,

prima d’andar via ho lasciato appeso

al gancio dell’ingresso l’anima e la sua maschera

come segni tangibili di un oscuro ospite

che tornerà a indossarli col buio della sera.

 

Ad ogni alba scoccano amari rendiconti

nella bolla di vetro con monotona voce

e la musica vibra fra le orecchie e il petto

a spargere nel sangue il veleno dei sogni.

 

Avanza la vita con gesti sempre uguali

lungo la strada che serpeggia in mezzo

alla campagna inerte al di là dei vetri.

Immagino il compagno che nell’auto mi precede

intuisco l’altro nell’ombra che mi segue

nello stretto riverbero puntato sui miei occhi.

L’uno e l’altro segnano i confini del pensiero

i limiti entro cui giace la mia esistenza.

Impassibile vedo al di là dei vetri

l’ingresso del recinto e l’abito lasciato

appeso a fine turno

che indosserò tra poco

che non mi appartiene. E sarò scomparso

  1. paola pdr scrive:

    Saper scegliere i pezzi “giusti” da mostrare
    e ricomporsi in un “tutto” la sera
    per non correre il rischio di diventare estranei
    a se stessi a forza di smembrare
    un’anima, stanca.

    Vita, un andirivieni infinito,
    fino all’ultimo cancello
    dove il mostrarsi non conta più.
    Resta da vivere il solo “dissolversi”.

  2. ippolita scrive:

    Anche io parlo di abito nella mia relazione. Tu lo dici in modo poetico
    L’uno e l’altro segnano i confini del pensiero

    i limiti entro cui giace la mia esistenza.

    Impassibile vedo al di là dei vetri

    l’ingresso del recinto e l’abito lasciato

    appeso a fine turno

    che indosserò tra poco

    che non mi appartiene.

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