Immagine elaborata da Campo di grano di Van Gogh

Ero un cieco

Mi sono guardato intorno. Era un giorno
colmo d’azzurro e le montagne porgevano le gole
all’alito fresco del vento.
Dietro i vetri ho atteso che fosse svanita
la profonda tristezza che incupiva i miei occhi
e sono andato in cerca di quel
che mi avrebbe reso felice.
Giunto sui campi ho guardato
la campagna e il cielo. Tutto era bello.
Tutto era immerso in una luce pura e fredda.
Attraversavo con passo solenne le spighe
alte e mature. Ho perso il senso
dello spazio e del tempo.

Adesso ero un cieco.

Ho sentito nella nebbia del sogno un sibilo sconosciuto,
un serpente che striscia ai piedi di un tronco sbiancato
e avvinghia un nido tremante di piccoli,
o un treno che ha smarrito il suo solco e si perde
fremendo tra il grano alto della campagna.
Un nero e un giallo nelle immagini cresciute nel sogno.
Un nero sempre più nero
anche se si allontana verso l’orizzonte
e un giallo di spighe
che tinge il grigio di nuvole sulle montagne.
I colori mi accecano come pugnali nelle pupille.
O sono quei giorni che strisciano con l’andatura obliqua
verso la preda dei sentimenti?
O il solco lasciato dal treno nel cuore del grano
come la ruga incisa sulla fronte dal tempo?
Mi guardo intorno e capisco che dietro
le immagini si nasconde il pensiero
di quel che è giusto o sbagliato, il dovere, i ricordi,
la tenerezza delle speranze, il timore di morte. Tutte le cose
che speravo sparissero con la mia cecità.

Finché il serpente non è strisciato ai miei piedi.

  1. paola della rossa scrive:

    Ogni cosa che ci si pone innanzi ha il suo lato nascosto da scoprire. Spesso si desidera cogliere soltanto alcuni aspetti di quello che ci capita, tanto da poterci allineare su una immagine consolatoria di pura fantasia, per fuggire a volte da noi e dalle nostre pesantezze.
    Tutto però arriva a compimento con le sue vere informazioni, complete e scarne, è solo una questione di tempo anche perchè probabilmente sono già scritte dentro di noi, ma non le volevamo vedere.
    I sentimenti come “preda” fa pensare a qualche cosa di vivo che si vorrebbe spegnere o quantomeno ridimensionare per abbassare certe soglie di percezione che fanno troppo pensare, di conseguenza anche soffrire. E che dire di quella coscienza imperiosa che appare alla fine e chiede i conti?
    Eccola la guida, la vera compagna di ogni percorso di crescita, indubbiamente faticoso, ma edificante, dove gli occhi sono chiusi ma vedono tutto lo stesso.

    • Perfette, cara Paola, le tue considerazioni/riflessioni sul tema della cecità con cui ci la vita ci avvolge. Il serpente non rappresenta che le nostre tare, i nostri limiti, le nostre colpe, che rifiutiamo di ritenere tali. Ma prima o poi strisceranno ai nostri piedi. E allora…

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