Simona Bramati, Atropo, 2008

Paternità (II)

Certe vecchiette rannicchiate nel mio petto

su macerie di ricordi e sentimenti

biascicano tra rantoli di sistole e diastole

lunghe litanie di lutti e di rimpianti.

 

Chiuse nel buio delle loro vesti tessono

sul telaio lunghi fili

sgranano sui rosari debolezze e pentimenti.

Portano con fatica sulle spalle il peso

del tempo e della mia memoria.

Con le labbra strette e le dita sopra i fili

come su chitarre lamentose

piangono il corpo di mia madre

scivolato con violenza nella pozza

argentea della luna.

Guardano dubbiose gli occhi di mio padre

fissare dal nulla un sole nero

che brucia fiori d’arancio mal sbocciati.

Intrecciano nel telaio eterni teli

per le nozze di donne

non ancora nate.

 

Anche di te, quando non eri ancora,

di te, che appena ieri guardandoti allo specchio

al disopra della mia spalla gorgogliavi

lunghi ragionamenti incomprensibili

e con gesti compiaciuti sorridevi

del tuo viso ancora a te stessa sconosciuto.

 

Così ho temuto, così ho sperato

che non sentissi salire dal mio petto il canto.

Così ho guardato con paura

nel profondo azzurro dei tuoi occhi,

ho allontanato lentamente le mie mani dalle tue.

 

Altri dei che non conosco

rigidi come statue del giudizio

hanno reciso con i loro sguardi

i fili che ci univano

come noduli al cancro dei ricordi

hanno liberata la tua voglia indomita di spazio

t’hanno donato il giusto senso della vita.

 

Rinchiuse nel mio petto quelle vecchie

biascicano ancora le stesse litanie

parlano ai fantasmi che si aggirano danzando

al suono lamentoso che mi gela il cuore.  

 

Stremato m’abbandono

sotto la trama incerta di un vasto telo grigio.

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