Ad Asia, gatta di casa di Salvatore Risuglia

Poesie delicate e soavi tratte dalla raccolta Let’s go

1

Troviamo talvolta le tue prede:

straziati uccelli o senza coda

attonite lucertole.

Allora nel (te)nero corpo

ardono gli occhi più gialli,

è tremula la coda

come nel sonno

se ti chiamo per nome.

2

Sei la sfinge delle sabbie di Giza

se il corpo distendi a noi vicino

muta a scrutare gesti, il suo e il mio,

i capelli, le ciglia; di noi due a chi

somiglierà la tua vita di umana

(ignara frenesia d’eternità)?

3

Sono i lampi e di più i tuoni

le cose che ti assillano di notte,

la grandine sui vetri.

Poi la fuga, la tua mania di fuga

da istinti – istanti incontenibili –

ai minimi anfratti della casa.

4

Dondoli nel corpo un cuore docile:

fai l’ignara se guizzi per le scale

e celi un pianto, un riso che a noi pare

di umana (voluta frenesia di ebrietà).

5

Hai chiamato, perché, con voce roca

come di bambina, noi più increduli

che mai ai tuoi due ultimi respiri,

per esserti vicini, così forse ho creduto,

o imparare a morire, noi disperati

al fioco ardore dei tuoi occhi gialli?

6

Sarà anche per loro un lascito inquieto

degli affetti, una pietà accorata

su come e quando accadrà

la morte per questi animali delle case

(come furono cari nella vita!)

o piuttosto un segno nero d’interpunzione,

un punto e basta?

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