Marzia Dottarelli, Risveglio,2012

Abbiamo sempre bisogno di credere

L’uomo è l’essere che soffre della sua propria trascendenza,

in un incessante processo di unificazione tra la passività e il

conoscere.

(Maria Zambrano, Chiari di bosco).

Abbiamo sempre bisogno di credere

che siamo sul punto di uscire da un bosco

rumoroso di corvi o gabbiani

maschere appese

che volteggiano in alto a spiare le prede.

Sempre speriamo

che una luce lontana ci attragga

come ci attira il colore di un abito smesso

dentro un armadio che cigola quando lo apriamo.

Senza quiete cerchiamo

con le parole nuovi sentieri

mentre inciampiamo nelle sperdute

in mezzo alla polvere.

Ma ci trafigge il dolore

nelle pareti dei nostri corpi

ci chiude dentro le stanze

delle intenzioni e dei sentimenti

sbattendo la porta.

E il tempo ci avverte.

Il nostro è solo l’inganno

di chi si ostina a chiudere gli occhi

nel dormiveglia

nell’illusione che tutto debba mutare.

Le maschere appese

cadono adesso ch’è buia la nostra casa

e c’invita a cercarci con le mani alla cieca.

Solo il soffio troviamo

della porta che sbatte.

Così c’inganniamo sui tempi e sui luoghi.

 

 

  1. giuliana scrive:

    in questa ennesima profondissima poesia Marcello esprime un bisogno antico quanto il nostro apparire sulla scena della vita: quello di credere in qualcosa che dia un senso alla nostra esistenza, che ci conforti e supporti quando ci sentiamo soli e timorosi “nel buio del bosco”, “nell’armadio cigolante”, “nelle stanze” che ci imprigionano, Ma questo bisogno antico si ripete in ogni istante della nostra “giornata”. E’ insito in noi: è il bisogno di credere , di sollevarci oltre il materialismo e la quotidianità che non possono appagarci; è l’anelito all’infinito.
    Nel momento in cui ci sentiamo prede prese di mira dai corvi o inciampiamo nella polvere di inutili parole, quando il dolore dilania il nostro corpo ci chiediamo: credere in cosa? in chi?
    Non è ora di illusioni, sembra suggerire il Tempo, non serve avanzare alla cieca. Non è tempo di mutamenti o di speranze ingannevoli. E’ solo provocato da una porta che sbatte quel rumore che ci ostiniamo a scambiare per un ospite venuto a liberarci, a guidarci verso una luce lontana che soddisfi il nostro eterno bisogno di credere.
    il poeta ha reso questo concetto ( che credo di aver interpretato in modo corretto) con una sequenza di splendide immagini in un alternarsi di spazi chiusi e aperti, in un dilemmatico scontro dell’uomo tra illusione e realtà, tra ombre e luci in un pathos che, pur nell’amaro disincanto, non diventa mai disperazione.

  2. paola pdr scrive:

    Dov’è la strada per riappropriarmi di quella luce e pienezza che mi rifaccia sentire arrivato e non un sonnambulo che vaga in compagnia di cieli con foschi presagi?
    Voglio credere che ci sia una continuità a quell’abito indossato, amato e smesso, che fa ancora copolino nei miei ricordi, per i suoi colori “vivi” e mai dimenticati.
    E mentre tutto mi appare così illusorio, s’apre un varco: è tutto qui dentro, dentro questo buio interiore che devo cercare spalancando le finestre delle mie contradditorie intenzioni.
    Il vento sta cambiando….ne ho appena percepito il soffio.

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