Renè Magritte, Il figlio dell'uomo, 1964 (rielaborazione grafica)

E’ di moda il soviet

Sono orgoglioso di portare tra le dita il sacchetto rosso ornato di macchiette bianche come fiorellini di campo. Lo stringo con cura all’imboccatura (ne faccio quasi una treccia) e lo lascio pendere dalle mie dita perché tutti lo vedano: sono un modello da cui prendere esempio. Tutti passandomi accanto devono sapere che sono un cittadino modello.

La mattina, quando esco di casa il sacchetto è nella mia tasca, vuoto ovviamente, leggero come un foglio di carta velina o come un ampio petalo di una rosa. È il segno della mia probità. Non è il solo. Li porto tutti esteriormente i segni del mio voler essere un modello: mi sbarbo, mi faccio la doccia, mi cospargo di profumo e indosso il mio vestito più elegante. Un segnale esteriore deve riflettere l’interiorità, altrimenti è un inganno, una trappola in cui far cadere chiunque ti guarda.

Non mi sono mai posto la domanda. È così e basta. Lo chiede la nostra società, con le sue leggi e la sua ideologia, costruita sull’esempio di tanti eroi, un po’ lontani, certo, ma sempre presenti tra noi con la memoria che il nostro Governo ci propone giorno per giorno. Anche i nostri governanti si offrono come modelli da seguire: un solo programma da realizzare, una sola meta da raggiungere. E tutto il popolo è trascinato dal loro esempio.

A volte mia moglie, aprendo il borsellino dove teniamo i soldi, chiede se siamo convinti di quello che facciamo, se è davvero necessario che io mi esponga come un modello da seguire.

Non le do retta, non voglio ascoltare le sue lamentele sui soldi che non bastano mai, sulla fine del mese che si fa sempre più lontana, né voglio guardare, quando tutti siamo seduti per la cena, che le porzioni si fanno sempre più piccole, che non mangiamo carne da tempo, che le pietanze di pesce ormai sono una rarità della memoria e i piatti di pasta si fanno sempre più frequenti e più colmi. Del resto penso che sia alla moda consumare un piatto unico, ricco di fibre che migliorano la salute e l’equilibrio del corpo. Lo dicono tutti, è patrimonio comune di tutti questa nuova coscienza sul modo di nutrirsi.

I miei figli anzi sono contenti, quasi fautori di queste scelte alimentari. La loro età li fa lamentare di tutto, sono insofferenti a tutto. Qualche volta li incontro per strada che gridano in mezzo a tanti altri giovani e quando la polizia si adopera per farli calmare o almeno tranquillizzare, loro gridano più forte. Nemmeno di fronte all’autorevolezza di certe soluzioni poliziesche, loro riescono a capire: preferiscono essere picchiati che tacere. Ma quando siamo seduti a tavola sono contenti: restano muti a guardare il piatto. Non alzano nemmeno gli occhi, non ci scambiamo una parola, finiamo tutti in fretta il pasto. Non guardano neppure la televisione.

Io e mia moglie invece, ne siamo confortati, siamo convinti di quello che dicono le televisioni e i giornali: gli sforzi fatti dai nostri governanti per abbattere le iniquità sociali hanno avuto successo, anzi saremo additati al mondo come esempio di progresso di un popolo. Siamo orgogliosi di partecipare a questo cammino verso la libertà e il benessere. Anzi, i nostri sacrifici ci sembrano ben poca cosa di fronte allo sforzo dei nostri governanti. Ma soprattutto mi inorgoglisce  che loro attuino la stessa strategia da me adottata per propormi come modello: io indosso l’abito più bello, loro vanno in giro con tante splendide macchine blu e la scorta. E anche loro indossano l’abito più bello. Anche quando, perseguitati da una giustizia cieca, vengono accusati. Ma raramente condannati. Sempre eleganti,  sempre con le stesse macchine blu.

L’atteggiamento dei miei figli mi preoccupa: non sono d’accordo con quello che penso, mi criticano, mi dicono che non capisco nulla, che la libertà non so neppure dove sta di casa, che mi faccio prendere in giro dalle notizie alla televisione. Capisco che sono giovani, capisco che devono contestare perché la gioventù, si sa, vive di utopie, vorrebbe subito quello che si ottiene con pazienza e con tenacia. Ma non capisco come non possano prendere ad esempio i figli dei nostri governanti che, come i loro padri, si fanno carico del bene del popolo e, pur tanto giovani, si espongono in prima persona ricoprendo cariche pubbliche. La loro tenacia, la loro voglia di partecipare alla storia dovrebbe essere di stimolo per i miei figli che invece si adattano, anonimi e invisibili, a svolgere piccoli lavoretti transitori. Purtroppo anche qui entra i gioco il fattore moda: pare che adesso il concetto di libertà, a cui i miei figli aspirano tanto, si realizzi con la transitorietà: nessuno più vuole impegnarsi in ruoli duraturi, nessuno più si sposa, nessuno vuole figli, nessuno lavora nella stessa azienda per più di sei mesi.

Non li capisco. Mi sconforta constatare che il mio atteggiamento è di esempio per tutti tranne che per i miei figli. Chissà, forse se avessero avuto come padre uno dei nostri eroi o uno di questi governanti, oggi anche loro avrebbero potuto  essere un modello. Io cerco di fare del mio meglio: quando mi trovo in pubblico come ho già detto lo testimonio chiaramente con i miei segnali. E ne sono orgoglioso quando mi è data la possibilità di estrarre dalla mia tasca quel sacchetto rosso con pallini bianchi: con grande sussiego mi inchino e raccolgo la merda del cane che tengo al guinzaglio, poi lo richiudo stringendolo bene fra la punta delle dita e lo lascio penzolare come un mazzetto di fiori, perché lo sappiano tutti che ho raccattato la merda, ho lasciato pulito. Ne sono orgoglioso.

(pubblicato sul n. 100 della rivista La Masnada, dicembre 2012)

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