Cariatide e Atlanti

Il fotografo

L’amico è venuto a trovarmi senza la moglie.
È fuggita – mi ha detto non appena mi ha visto –
perché vedo da tempo la vita come un‘immagine statica.
Ma io vedo che cambiano
soltanto le ombre, le luci e i colori
mentre il corpo si piega e la mente matura.
Rimane immutato il nocciolo duro di debolezza e di odio.
Vorrei – mi ha detto -che l’uomo restasse
immobile come nelle mie foto
con le luci migliori, i colori più fulgidi e le ombre a esaltare
quelle istantanee dei momenti più veri.
L’ho accompagnato nel suo bisogno d’immortalare
le immagini lucide della sua mente.
Abbiamo girato tutte le strade della città vecchia
con la macchina a tracolla, ha fotografato
nella buia umiltà dei vicoli gli alberi spogli
un mazzo di fiori dietro i vetri della finestra,
il sole tra i tetti
come un prigioniero dietro le sbarre
della cella dipinta d’azzurro.
Nella piazza assolata, in mezzo alla strada
ha fotografato una mamma giovane e bella
china sul carrozzino con i capelli biondi
lunghi giù sulla camicetta bianca,
in alto vicino ai tetti
la gatta appisolata sul davanzale.
Al vecchio che trascina le sue povere cose
in una borsa sdrucita che gli pesa
tra le dita scarne e si allontana
nel vuoto della piazza, ha riservato
un’inquadratura particolare
dall’alto verso il basso
sulla curva della schiena con l’obiettivo
d’esaltare la fatica dell’uomo.
Nell’angolo opposto ha catturato
il calcio spettacolare di un giovane dallo sguardo deciso
con una gamba tesa in alto e le mani dietro le schiena,
a ostacolare un immaginario
tiro violento di rigore.
Ha immortalato sulla facciata di un vecchio palazzo
ormai svuotato d’ogni traccia del suo passato
gli architravi che narrano fasti antichi,
i condannati a rimanere nudi sotto il peso
dei poggioli sulle spalle
e sotto i balconi a fianco
le gigantesche compagne dai seni turgidi
come fiori di bronzo
macchiati dal latte di pietra sgorgato
lento e vischioso da anni.
Ha fotografato nell’insegna del bar
la bocca spalancata di un leone
dentro l’aureola d’oro che dice Qui si beve da re,
i tavolini al sole, le tende a strisce blu e rosse
gli uomini seduti all’ombra.
Gesticolano scuotendo le teste
spolmonandosi di grida sulla squadra del cuore,
i politici, la tivù i programmi seriali,
su come salvare il mondo restando seduti a parlare.
L’amico ha pubblicato tutte queste immagini sui social
per ricevere applausi e consensi
che consolassero la sua delusione.
In quest’ultima foto però c’ero anch’io.
La schiena poggiata alla plastica verde dello schienale,
i piedi sul tavolino,
bevendo birra con un cappello in testa
che dava ombra ai miei occhi.
Pensavo a quanti mi avrebbero visto
tra quelli seduti al bar.
Pensavo e ridevo con le mani in tasca
e lo sguardo del folle che vede in se stesso
lo specchio dell’universo, la sua solitudine.
la sua immane follia.
L’egemonia della saggezza, l’egemonia della vergogna.
Nessuno sui social mi ha visto.
Qualcuno però si è riconosciuto nell’uomo
che beve con il cappello in testa
e ha cancellato la foto. Egemonia della paura.

  1. giuliana scrive:

    Quante persone e cose ci hanno fatto vedere gli scatti del tuo amico fotografo durante la lunga passeggiata per le strade della città|
    Immagini che sono attorno a noi e in noi, che tuttavia generalmente non le vediamo, presi da…Ma da cosa in fondo? Ci nascondiamo dietro le solite frasi: manca il tempo, sono stritolato dall’ingranaggio della quotidianità, sono stanco. Peccato| “Il tuo fotografo” è una “voce che grida nel deserto” anche se spesso non vogliamo ascoltarla e, con un gesto che denota la nostra paura di vivere a pieno e lottare per questa vita, la cancelliamo.
    Sembra che i social stiano sostituendosi alla realtà.
    Sino a che la Poesia ne ha la possibilità. portaci ancora a scoprire la vita, caro Marcello.

    • Cara Giuliana, grazie di questo tuo ragionato commento. Il fotografo – quello sconosciuto ai molti. quello di cui tu hai apprezzato la sua capacità di fotografare ciò che gli altri non vedono più o peggio non hanno mai visto, perché impantanati in una visione che vede solo ciò che gli viene gettato sotto gli occhi – è colui che conosce i più nascosti sensi della vita ne apprezza la bellezza e teme che possa essere scambiata con la volgarità che ogni giorno ci assedia. Lo hai riconosciuto nei miei versi perché anche tu hai la sensibilità di questo nostro comune amico fotografo.

  2. paola della rossa scrive:

    Quando la noia e una certa solitudine interiore campeggiano nella nostra vita, si riempiono i vuoti con quello che sappiamo fare meglio.
    Il fotografo riprendendo la vita altrui con l’instancabile obiettivo, la sua compagna invece con il darsela a gambe chiudendo un vuoto ed una noia arrivata a capolinea. Quante storie sono così? Tante. Solo che non tutti riescono a darsela a gambe, solamente quelli che si danno una chance per ricostruirsi. Le donne sono le più coraggiose e forse quelle che pagano il costo maggiore delle loro scelte, a volte perchè troppo attendiste. L’uomo invece, sembra quasi che abbia una saggezza innata, che sappia che non valga la pena di scassarsi troppo, tutto è come una candela, si accorcia e consuma, quindi perchè stressarsi? Riempire di foto la noia è un modo come un altro per aver voglia di alzarsi la mattina e sentirsi un guizzo nel cuore.
    Marcello, dimmi invece di quella birra, era davvero super? Mi par di vederti, con quel cappello in incognita.

Replica a Marcello Comitini