Robert Campin, Annunciazione, 1456

L’Annunciazione

Questa poesia necessita di una introduzione per aiutare a comprendere.
Inquadrata e illustrata nel contesto del dipinto, ecco che si illumina, si riempie della sua origine fiamminga in cui i dettagli sono raccontati con delicatezza e armonia. Si esce fuori dalla pittoricità nella seconda parte “Potrò tradire…”.

Dalla dimensione materiale, dalla “spiegazione” del dipinto si passa alla dimensione “religiosa” e al dubbio che permea i misteri della fede quando l’uomo pensante si sofferma su di essi. Il sospiro dell’angelo ha un che di umano, sembra incerto sulla sua missione, incredulo che possa compiersi, conscio di quel accadrà dopo. Il turbamento della ragazza va oltre il pudico ritrarsi con cui generalmente la descrivono.

C’è nel suo turbamento il presentimento del dolore che incombe su di lei: la colomba trascinata in basso dalla croce pesante delle sue ali, una triste cantilena… che da secoli torna dalla crocifissione dell’innocenza, il subbuglio di un futuro doloroso, l’ampio sudario, il bosco fitto di inganni, il gelo dell’inverno, i riccioli di fumo acri, l’odore aspro di carne bruciata. C’è l’attesa che qualcosa si compia, ma c’è il dolore che si protrae nei secoli, da quell’annuncio discendono sofferenze per gli uomini: odore di carne bruciata, i martiri.

I versi iniziali, in cui l’Angelo si guarda intorno, hanno la funzione di mettere in evidenza la contrapposizione tra un interno “piccolo borghese” ricco di dettagli, e un evento simbolico che avrebbe influito sull’umanità. Un evento privato che in un crescendo descrittivo giunge a un epilogo sospeso ma sperato.

Ma la domanda che rimane in sospeso è : ci sarebbe stato meno dolore senza quel sì?

Gabriella Barattia

Non è Dio che mi ha creato.
È stato Robert Campin a trarmi fuori
dalla folla variopinta dei suoi fantasmi.
Con la punta lenta e minuta del pennello
ha dato forma e colore
al corpo e alle mie ali
e mi ha posato come una piuma bianca
di fronte a una ragazza in un salotto borghese.
Mi guardo intorno alla luce della candela
che danza, palpita, fibrilla
e temo che presto sarà soffocata dall’ansia.
La ragazza seduta per terra con l’abito rosso
ora legge ora riflette
ascolta un po’ di musica dai gigli che risuonano
dall’alto di una brocca d’una marcia nuziale.
Dai due piccoli riquadri in una finestra di legno
appaiono nuvole
nel cielo diafano delle Fiandre
prima che sgorghi dalla gola degli uccelli
il rosso dei fiori
e nella piazza risuonino le voci della follia
che un secolo dopo spargerà il sangue
dei martiri di Gorkum.
Ai lati del camino
muto come una lapide
sporgono dalla pietra a mezzo busto
due contadini olandesi.
La guardano in silenzio,
scrutano a occhi socchiusi
il tavolo sbilenco e accanto alla brocca
con preoccupazione il palpito della candela.
La ragazza legge, ascolta la musica e sogna l’amore
con l’indolenza innocente di chi crede in un mondo
dove regnano insieme
la gioia e l’incanto.
Ripensa al suo passato di Eva indifesa
che ha addentato quel frutto con amorosa tracotanza
ed è piombata nel cuore dell’inverno.
Nasconde nel rosso della sua veste
la gloria della verginità e la dolcezza del suo corpo.
È sola.
Ma un bambino sospinto da raggi dorati
scende verso il suo grembo
dall’alto di due ogive come una colomba
trascinata in basso dalla croce pesante delle sue ali.
È l’alba.
Una triste cantilena si ode nella piazza
ricorda una preghiera sulle labbra distratte della gente
che da secoli torna dalla crocifissione dell’innocenza.
Nella bottega buia a fianco del salotto
un vecchio artigiano del legno,
fora con impazienza una tavola
per farne un parafuoco inutile per il camino.
Con malinconia la sente scricchiolare sotto le dita.
Sa di essere solo vecchio e nella sua misera una nullità
ma nel contempo si sente unito per sempre
alla ragazza della stanza a fianco.
Le sue mani, come quelle di un giovane
che avverte in sé il subbuglio di un futuro doloroso,
hanno costruito due strumenti
d’attesa e d’amore
che inganneranno il predatore della colomba
(l’ha letto nelle Confessioni di Sant’Agostino
che si chiamano muscipula diaboli le trappole).
In ginocchio nell’ampio sudario
lungo sino ai miei piedi
vedo mani che spezzano un pane
un calice di vino che passa di bocca in bocca
e un bosco fitto d’inganni.
Potrò tradire il mio fine ultimo?
Mi riprendo, cancello in me ogni traccia del futuro,
annuncio in un soffio alla ragazza
una notizia che ha il fascino dell’amore eterno.
Non so di cosa parli – mi risponde senza alzare gli occhi
per non permettere, lei più forte di me, al gelo dell’inverno
d’invadere il salotto borghese – .
Ti ha scelto il signore dell’universo – continuo
con un sospiro che spegne la candela.
La ragazza meravigliata alza lo sguardo
ai riccioli di fumo che si alzano acri
dal nero dello stoppino,
le riempiono la gola di lacrime
con l’odore aspro di carne bruciata.
Nel giardino chiuso da mura – perché anche lì
non entri la tristezza dolorosa dell’inverno – ,
Robert e la sua donna a mani giunte sulla soglia
ignorano il suo turbamento. Pregano
sperando come me, che immobile attendo ancora,
il sì della ragazza.

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