Alberto Mangrovia, Ferito, 2015

Nulla

Ora che hai consumato tutte le parole

come unghia spezzate su spuntoni di roccia

e il cuore gonfia a vuoto le vene del tuo sangue

mentre l’anima resta in una gabbia oscura,

girati intorno e guarda più lontano

al di là dei tuoi piedi che scalciano nel vuoto.

Vedrai dispersi in un ventoso spazio

uomini in pace di aver parlato a lungo

di vittime e carnefici, d’ingiustizie atroci

dei dolori del mondo, senza aver detto nulla.

 

Nulla di sé o dell’uomo, nulla del dolore.

 

Ma forse nulla davvero andava detto.

  1. giuliana sanvitale scrive:

    Caro Poeta,
    non so se quanto colgo, io lettore, dinanzi alla tua opera, corrisponde al tuo pensiero e in che misura. Ma dal momento che ogni opera innesca nel fruitore un processo di immedesimazione e un tentativo di riscrittura, secondo la propria sensibilità e il personale metro di lettura, mi permetto di esprimere ciò che i tuoi versi mi hanno suggerito.

    Parole fragili, parole usurate, abusate, rese vane; forse da sempre involucri del nulla. E vano è il guardarsi intorno, il lottare scalciando nel vuoto, come l’impiccato nei suoi ultimi tentativi di vita, o forse nel cercare di accelerare la morte. Parole che nella loro foga logorroica non dicono niente; non aprono porte o spiragli alla salvezza. Seguono un destino prestabilito: appunto il nulla.
    La poesia vuol essere scrollone, schiaffo, grido di protesta, richiesta d’aiuto, invito a riappropiarsi della propria umanità?
    O tutte queste cose?

  2. paola pdr scrive:

    “L’anima che resta in una gabbia oscura” potrebbe intendersi come qualche cosa che venga volutamente occultato di sè parlando d’altro, dirottando l’attenzione di chi ci ascolta verso “altro” da noi.
    Il dolore che accompagna la nostra esistenza sarebbe così sublimato raccontando quello altrui.
    Penso che fatichiamo parecchio a condividere il nostro “dolore” frenati da un ipotetico giudizio, che temiamo più di qualsiasi altra cosa.

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